Sanremo…“equity fair”: la finanza in “do” maggiore

SanRemo
L’ingresso del Teatro Ariston a Sanremo

Se il festival fosse un’invenzione yankee, magari a Vegaso L.A.’, probabilmente sarebbe stato un tema di inve­stimento.
Tutti conosciamo l’abilità dello “Zio Sam”: profitto da ogni evento, occasione.
Lo ‘Showbiz’, d’altronde, l’hanno inventato loro.

 

Già mi vedo il ticker dell’attivo: “St.Re”.  Già sento i pezzi grossi di Wall Street, mentre sussurrano tra loro: “Ferro azzurro ama Sanremo…” ; forse l’avrebbero addirittura quotato sul NASDAQ. Ma questa è solo pura divaga­zione, procediamo oltre.

Piuttosto, la domanda vera è: se l’avessero davvero fatto, da dove sarebbe scaturito il valore dell’investimento? E, a questa prima domanda, ne sarebbe­ro sorte diverse altre.
Tanto per dire…
1) Che “shelf-life” avrebbe un investimento di questo tipo?
2) Quali settori dell’economia avrebbero beneficiato di questa operazione?
3) A quale “Style box” sarebbe stato assegnato? E in quale “dimensione”?
4) Quale profilo di investitore “retail” potrebbe esserne interessato?
Procediamo con ordine, dunque.

– La prima risposta – durata- potrebbe essere: lunghissimo termine. Per forza.
– Il guadagno sarebbe arrivato da svariate voci: il volume di raccolta delle aziende del settore marketing e pubblicità, innanzitutto. Così come da ricavi per vendita discografica; diritti di merchandising e immagine sugli artisti (ma non solo); commercializzazione e distribuzione del “prodotto Festival”; ricavi da parte delle aziende di servizi ed infrastrutture (tecniche soprattutto) impegnate nel business. E certamente tanto altro ancora.
Inoltre, la versione italiana, vede localizzato l’evento canoro a Sanremo dove ha sede anche uno storico casinò. Con tutti gli annessi e connessi.

La stessa cosa, quindi, potrebbe essere replicata negli USA.
Perciò, includendo le “case da gioco” come elemento di valore aggiunto, andrebbero considerati anche i profitti del settore “gaming”, o gioco d’azzardo. Gli Stati Uniti muovono montagne di miliardi di $ nel settore.
– Lo “Style box”, vista la natura del business di riferimento, potrebbe essere il segmento “Value”. Siete d’accordo?
– In termini di capitalizzazione (leggi pure dimensione) io propenderei per il settore “Large” o, tutt’al più, per il “Mid-cap”. Sempre sponda USA.
– Quanto alla tipologia dell’investitore retail, ragionando su larga scala, escluderei chi mostri un approccio speculativo. Includerei, invece, cassettisti; chi punta al “dividend yield”; chi lavora nel settore, con l’accesso ad offerte di stock-option, etc.
In ogni caso, trattandosi di un business circoscritto all’ambito dei consumi di servizi e beni “emozionali/voluttuari”, è prevedibile una ciclicità del settore. Con una certa volatilità, insomma. In tal caso, un “accumulo” nel tempo potrebbe ripagare con un premio extra sul risultato finale. O no? 

Superate queste obiezioni ne resta, almeno, un’altra ancora. Ossia…
Qualcuno, giustamente, potrebbe chiedersi: e il bacino di utenza?
Tradotto in numeri, quale potrebbe essere -in volume di pubblico- il potenziale mercato? Facciamo un esempio su dati certi nostrani: nell’ultima serata edizione 2017 si è registrata la punta più alta dell’ultimo decennio. Per cui, se in Italia con circa 60 milioni di abitanti uno share del 58% vale oltre 12 milioni di spettatori (tutti potenziali consumatori), negli USA con oltre 250 mln di persone la ‘platea’ sarebbe di diverse decine di milioni. Non proprio due gatti.
Il condizionale è di prammatica, ma parliamo pur sempre di un’enorme ser­batoio. Gli americani, a questo punto, sentirebbero già il tintinnio delle monete che cascano, come da un Jackpot. Noi, invece?

Ogni investimento che si rispetti dovrebbe presentare un “track-record” temporale di una certa ampiezza. Serve per le statistiche ma, soprattutto, a verificarne l’andamento (anche efficienza) negli anni. Ovviamente, serve anche a desumere i “top & bottom” conseguiti; cioè: i picchi ed i tonfi.
Nel caso di Sanremo, il massimo storico ci fu nell’edizione 1987: quattro epiche serate, con un ascolto medio di quasi il 69%, pari ad oltre 16 milioni.
Il flop è più recente: maturato nell’edizione 2008. Il risultato finale fu un di­sastroso 36% tirato a forza: appena 6,8 milioni di spettatori.
Lo “staff gestionale”, e la RAI, a quel punto furono costretti a riscriverne format e budget, inserendo il criterio di direzione artistica pluriennale.
I risultati, infatti, non hanno tardato ad arrivare: sia sugli ascolti che sui ritorni economici. Anche sul brandSanremo nel mondo”: un mainstream molto richiesto e riconosciuto.

Nel lasso di tempo (1987-2017) di trent’anni, oltre ad ottenere minimo e mas­simo storico, se n’è ricavato anche un altro dato essenziale: il “Benchmark” di riferimento;
leggi il grafico in basso.

Media ascolti Sanremo
Dati Auditel ultime 10 edizioni


Ogni buon attivo finanziario ha il suo parametro di confronto; nel caso di Sanremo, il benchmark, è Carlo Conti. Ossia, la media di ascolti maturata (durante il triennio 2015-2017) nelle tre edizioni in costante crescita dirette “dallOtello del tubo catodico”, come mi piace maliziosamente definirlo. Stiamo parlando di una media triennale di quasi il 50% di ascolti: 13 mln. Dato abbastanza buono da identificarlo come: l’obiettivo da battere.
Nel 2018, questo parametro medio, per la prima volta è stato “replicato”.
La media ascolti, nell’edizione appena conclusa, è stata di circa del
52,3% pari a 11 milioni di spettatori medi a serata miglior risultato da 13 anni ad oggi.
Ma non ci sono solo gli ascolti a rendere interessante l’esperienza sanreme­se: buone nuove anche dai dati economici. Al netto dei costi in netta riduzione rispetto alle precedenti edizioni e dei cachet per direttore artistico, conduttori ed ospiti (circa 16,5 mln€), il cambio di formula apportato da Baglioni ha prodotto ricavi complessivi per 25 milioni di (quasi tutti da pubblicità e sponsor), più 1 milione dalla vendita dei biglietti, dal ‘televoto‘ e dall’uso del marchio. Quest’ultima voce, forse, andrebbe gestita con maggiore vigore.

Morale della favola: c’è un attivo di 9,5 milioni di €; chissà in America, un fenomeno largamente seguito da oltre 65 anni, come lo avrebbero valorizzato. Quanto ne avrebbero ricavato. 
A casa nostra, gli ultimi quattro anni ci hanno dimostrato che, anche un festival, può creare valore, non già emozionale bensì pure economico, al punto da poter staccare un bel dividendo da distribuire. Davvero un eccellente risultato.
Quindi, concludendo: abbiamo un quadro generale sul tipo di investimento; ne conosciamo tipologia, timing e settore di riferimento.
Sappiamo come e dove profittare ed abbiamo anche un benchmark da battere o replicare. Come pure l’investitore tipo a cui rivolgere l’offerta. Inoltre, abbiamo uno storico dell’andamento e, per finire conosciamo anche minimi e massimi di risultati raggiunti, su un lasso di tempo lunghissimo.

Il mosaico, a questo punto, si può definire completato. C’è solo da impacchettare tutte queste informazioni, e confezionarne un contenitore da lanciare sul mercato, per valorizzare il collaudatissimo mainstream canoro, frazionandone la “proprietà” tra il pubblico indistinto. Magari anche sotto forma di PIR? Boh, chissà!

Un’ultima cosa e poi concludo: va da sé che, lo stesso (fanta)ragionamento elaborato su l’ipotesi del festival in Borsa, è applicabile a tanti altri programmi ad elevato potenziale di pubblico ed ascolti; altro buon “Made in Italy” per ingrossare genuinamente il PIL nazionale. Domanda: tutti pronti anche per “don Matteo”?

Il Matteo prete, però. Non l’altro!

 

 

 

 

«Quello sgradevole ‘vizietto’…» Cronaca di una generazione perdente

Bancari 2
Italiano medio, bancario medio!

Si tratta della maledizione dell’italiano medio; uno dei volti dell’italica approssimazione: una proprietà intellettuale inalienabile, indelebile, verace. E’ lui: è anche il bancario medio. Stavolta è di lui che si parla!
Costui riflette l’archetipo dell’italiano medio, cioè uno che vive alla giornata come se gli fosse ‘dovuta’; che aspetta il 27 del mese senza curarsi troppo di ciò che fa. punta ‘sul sicuro’ lui: è un tipo prudente… Sia chiaro: lungo il mio percorso professionale ne ho incontrati anche di preparati e dannatamente efficienti, mica solo reietti o mediocri!..
Già ai primi livelli impiegatizi, ti accorgi che siamo circondati da gente che si sente indispensabile, sempre dalla parte del giusto, senza rendersi conto che sta nuotando in un mare di ignoranza sconfinato. Insomma, uno a cui tutto scivola addosso, perché tanto lo stipendio è garantito. Nemmeno riesce a vedere il treno che gli sta arrivando addosso, ma altroché se se lo beccherà: bello frontale sarà l’impatto!..
Il bancario medio non riceve una particolare educazione, non ne ha bisogno. Inizia dallo sportello, ed oggi gli occorre solo un’infarinatura minima su come rappresentare la sua banca verso il pubblico, verso gli utenti, alle casse. Per questioni più complesse, rinvia al ‘direttore di sala’ che, essendo stato per decenni allo sportello, dovrebbe avere più esperienza (e quindi fare problem solving), più creatività professionale, più slancio pro attivo. Invece è solito saper fare solo due cose:
1) esercita il suo ‘potere’, a seconda di chi ha davanti, per impedire che la soluzione venga trovata (tanto, per lui, sarebbe stata una perdita di tempo…);
2) spedisce lo ‘sfortunato’ di turno (e qui, ho usato i guanti di velluto), ai piani superiori (letteralmente), per parlare con qualcuno che, magari, ti dice “… spiacente, non me ne occupo io” o se è bravo, ma ‘bravo’ davvero, ti porta dal/dalla direttore/direttrice, sennò… sticazzi: t’arrangi alla bell’e meglio. Tanto, il culo sulla graticola è il tuo, perché loro hanno il ‘27’… Oppure, nei casi più rari, puoi avere la fortuna di parlare col ‘mega direttore clamoroso’ di turno che ti dice: “Vuole cinquantamila €uro? Ha case (al plurale)? Nooo? Mi faccia vedere quanto ha da noi… bene, sono… 65.000€? Ci dispiace, ma non bastano. Se vuole, però, può aprire un mutuo da noi… per avere il finanziamento. Vuole pensarci un po’ su?..” A ‘sto punto, poi, non ci dobbiamo meravigliare se -in meno di dieci anni- è stato sputtanato quasi tutto il patrimonio di una banca antica di 542 anni: un’eccellenza italiana, l’ennesima, di cui andar fieri, esempio di solida tradizione nel territorio. Parlo di MPS ovviamente, la prima ‘banca’ (intesa come struttura bancaria a tutti gli effetti) del Mondo, perché di strozzini o cravattari ve ne sono tracce ancor più antiche, persino nella letteratura del tardo ‘600. Sicché, e concludo, è la mediocrità che impera, da noi, al giorno d’oggi. Che ci piaccia o no. Certo, non tutti ci si riconoscono, ma in fondo -fatte le debite eccezioni- siamo tutti fatti un po’ così: un popolo che propende all’inconsapevole ignoranza; presuntuosi, cialtroni, abilissimi a farci del male ed ancora più abili a dircelo ed a piangerci sopra. Ma ecco: basta che poi arrivino smartphone, calcio, un po’ di culi, delle tette… e tutto ricomincia esattamente come prima!
Piemmerre creativity by Protagonista & Soci
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«Gli spettri del tempo» Un piccolo assaggio, Aspettando che il libro esca

C’è sempre qualcuno che, dietro le quinte, muove i fili di tutto!

Da un’idea di: PMR
Work covered by Copyleft/ CC BY-ND 3.0

“C’è sempre un principio in tutte le cose e, talvolta, vi è anche una conclusione. Ma per quest’ultima, non sempre spetta a noi decidere. Sovente può dipendere dal fato, da elementi imprevedibili, da ‘forze superiori’. Tuttavia, può succedere che si giunga ad una fine, anche grazie all’inatteso intervento di innocue persone. Innocenti individui, a cui il destino ha segretamente riservato un inatteso compito…
Come nella storia che segue!

L’inizio di tutte le cose: Svizzera, Lago di Ginevra, 11 Settembre 1814. In un’illustre villa.

«[…] Finalmente, dopo una lunga attesa, il momento di incontrarci è giunto! Ditemi, mio buon amico, come è andato il viaggio sin qui? Trovate questo luogo di vostro gradimento?» domandò premuroso il Conte, all’elegante uomo inglese.
«Il viaggio, per quanto lungo, è stato abbastanza agevole. E sì, questo posto è davvero suggestivo. Sembrerebbe un luogo perfetto per un ritiro creativo. Signore, permettetemi di visitarne ogni anfratto. Magari, chissà: un giorno potrei tornarmene qui… ma per dedicarmi all’arte. Alla scrittura, e perché no: magari con un’allegra compagnia» rispose il gentiluomo, quasi in maniera profetica.
«Allora prego, seguitemi. Dentro ci aspettano impazienti, abbiamo parecchio da discorrere e deliberare. Ma certo non mancheranno le libagioni, che so, Voi, apprezzate molto» concluse il Conte, sottolineando il verbo ‘apprezzare’ con maliziosa ironia.

Austria, 3 Ottobre 1814:
«Stimato Principe, quest’Assise sarà un grande successo. Ne usciremo trionfanti e più forti. Tutto tornerà come prima, e forse anche di più» affermò il Conte di Lobo da Silveyra, autorevole diplomatico portoghese, anch’egli invitato a partecipare a quell’assemblea destinata a passare alla storia.
«Concordo con lei, caro Conte di Lobo. Che sia chiaro: io sostengo con vigore un rinnovato equilibrio dei nostri Stati. Sì allaRestaurazione” ma non intendo soffocare i perdenti. Autorevoli delegati, è notorio quanto il mio pensiero tragga ispirazione dalla filosofia del nostro grandeLudwig Von Rochau’, padre della “real-politik” ed alla quale io mi sono consegnato completamente. Ed è proprio in ragione di questo assioma che orienteremo il dibattito e le inevitabili delibere» rispose, appassionato, il Principe di Metternich