“Quarto Potere”: una modesta opinione…

Quarto potere
No Trapassing…” L’immagine che domina il Masterpiece!!

E’ una pellicola dalla forte indole polemica, “Quarto Potere”;
un grande classico che, a più di 78 anni dall’uscita, mette ancora a fuoco, con nitida attualità, una vita sociale continuamente soggiogata dall’amoralità politica del potere, dall’egoismo, falsità ed ipocrisia.

Welles decretò la morte del cinema classico, e la nascita di quello moderno;
condizionò il cinema contemporaneo, negli anni a venire. Rimarrà epica quella citazione di H.Bogart (omaggio al film di Wells) in “L’ultima minaccia” (di R.Brooks ’52):
È la stampa bellezza! La stampa! E tu non puoi farci niente! ..!!”

L’eredità di Orson Wells, resiste nel tempo e servirà, poi, a dar vita ad altri capolavori, che avranno il pregio e il merito di dar vita ad opere eccellenti come “Quinto Potere” (di S.Lumet) dove però, stavolta, sarà la TV a prendere il posto della stampa, in una società che confida nel progresso e nel cambio generazionale; ma che condivide, in fondo, lo stesso cinismo e gli stessi principi di amoralità.

In sintesi, “Quarto Potere” è la storia di Kane: un apolide, strappato ai genitori ed educato da una banca; un individuo libertino, spregiudicato, pavido, infelice.
In sostanza, drammaticamente solo. Lui è un ‘mercuriale’ (be’, forse una curiosa variante del tema); è l’emblema dell’Uomo Nuovo, un accumulatore materiale, che la preferisce ad un’esistenza più cerebrale…

E chissà perché, mi viene in mente subito l’immagine dell’iPhone, a corredo della mia ultima riflessione..!!

«L’ombra dell’oblio»

Ok lo ammetto, sembra il titolo di un film del terrore vecchio stile, o di un racconto gotico romantico: alla Byron o Poe, per intenderci. Invece no: è un focus sullo straordinario lavoro editoriale di Carlos Ruiz Zafon: quello dedicato a Barcellona ed al ‘Cimitero dei Libri Dimenticati’.

La biblioteca dei libri dimenticati
La biblioteca dei libri dimenticati

Ricordo ancora il mattino in cui mio padre mi fece conoscere ilCimitero dei Libri Dimenticati’. Erano le prime giornate dell’estate 1945 e noi passeggiavamo per le strade di una Barcellona prigioniera di un cielo grigiastro e di un sole color rame che inondava di un calore umido la rambla di Santa Monica”.  Ma come è nata, nella mente dell’autore, questa tetralogia? Quali sono le origini? Da dove prese lo spunto per avviare questa fortunata serie narrativa?
Il motore di tutto, pare, sia stato l’interesse per il fenomeno della distruzione del ricordo. Ce lo racconta lo stesso autore in un’intervista:
«[…] Anni fa, ero in California, a Los Angeles. All’epoca, lì sembrava ci fosse la tendenza a cancellare tutto, ogni ricordo. Ma c’erano anche numerosi negozi di libri di seconda mano (un autentico fenomeno lì). Per lo più, però, le trovavi vuote e quindi, per non pagare alti affitti, si collocavano in luoghi insoliti ed angusti, tipo caverne. Tutto questo si è poi cristallizatto nella metafora della biblioteca dei libri perduti di Barcellona. Ecco perché, ero e sono convinto che, siamo ciò che ricordiamo: meno ricordiamo meno siamo. Da tutto ciò, nasce l’importanza del ruolo svolto nella trama da quel santuario dei libri.»
– Quale struttura hai immaginato per questo tuo complesso lavoro?
«L’idea che avevo, per concepire una trama sul ‘Cimitero dei Libri Dimenticati’, era troppo maestosa per essere contenuta in un unico libro: ne avrei ottenuto un libro troppo grande, in cui avrei rischiato di sciupare il valore che invece volevo esaltare. Per questo, ho pensato a una tetralogia, ed ho deciso di separarlo in quattro momenti diversi. Volevo che fosse una sorta di labirinto con porte comunicanti; un progetto che doveva assomigliare ad un puzzle, ma concepito in moda tale che, da dovunque si iniziasse la lettura, potesse sempre andare bene. Ciascun libro, poi, avrebbe avuto un suo preciso territorio ed un suo narratore. In L’ombra del vento c’è Julian Carax, ne Il gioco dell’angelo David Martín, ne Il prigioniero del cielo c’è ancora Martín, ma è come se scrivesse Fermín
– Chi, o cosa, avrebbe dettato i ritmi nei vari capitoli della trama?
«In sintesi, L’ombra del Vento si incentra sul malinconico Daniel, ma c’era anche Firmin, il personaggio divertente, il contraltare, il personaggio picaresco, il matto che dice la verità. Ecco, Firmin non rivela i suoi segreti fino a Il prigioniero del Cielo, in cui scopriamo perché lui sia così. E c’è, poi, l’ispettore Fumero, un personaggio orribile.
Il gioco dell’Angelo è essenzialmente la storia di un uomo che perde il senno, vede la realtà sbiadire sotto i suoi occhi e cerca di recuperare il senso della realtà.»
– Qual è l’elemento principale su cui far ruotare l’intera saga?
«Il tema di fondo, in tutta l’opera, è la memoria. Essa, però, è labile e selettiva: vale a dire che ricordiamo ciò che serve per sopravvivere, ma rimuoviamo ciò che ci addolora. La memoria ci mette davanti allo specchio e ci fa capire chi siamo. Prendiamo ad esempio la mia Spagna… dopo la nostra tragica Guerra Civile, ne è seguito un lungo periodo di silenzio, con la gente che non voleva ricordare. Quando, poi, è arrivata la democrazia ci si è chiesti se bisognasse recuperare la memoria e riaprire le ferite, o se fosse preferibile, come è stato fatto, fare il patto del silenzio; e nuovamente si è tirato avanti, nonostante le voci dissonanti. Ed è appunto questo il mio primario obiettivo: riallineare le voci alla memoria. Cioè, spero che i miei libri aiutino il lettore a porsi delle domande: finita la storia, dovrebbe rimanere la voglia di sapere, nooo?»
In definitiva, il ‘ciclo di Barcellona’, ci appare come un complicato gioco di incastri in cui, se segui l’ordine cronologico della pubblicazione, ne ottieni un senso, ma non è importante iniziare per forza dal primo libro. Insomma, si potrebbe considerare questa tetralogia come se fosse uno spartito musicale, ma con una speciale caratteristica:
a seconda del momento in cui si fa ingresso nella lettura, si ha una percezione diversa dell’intera opera. Quasi come se, a turno, i personaggi prendessero in mano un microfono e si mettessero a cantare da solisti.

Il ciclo su Barcellona
Il ciclo su Barcellona

“[…] Dall’atrio, immerso in una penombra azzurrina, si intravedevano uno scalone di marmo e uno scalone affrescato con figure di angeli e di creature fantastiche. Seguimmo il guardiano fino a un ampio salone circolare sovrastato da una cupola da cui scendevano lame di luce. Era un tempio tenebroso, un labirinto di ballatoi con scaffali altissimi zeppi di libri, un enorme alveare percorso da tunnel, scalinate, piattaforme e impalcature: una gigantesca biblioteca dalla dalla geometria impossibile. Guardai mio padre a bocca aperta e lui mi sorrise ammiccando:
«Benvenuto nel Cimitero dei Libri Dimenticati, Daniel.»”

Una ‘idea Chiara’ sull’Amore!..

Il Regalo Rotto”: la concreta dimostrazione d’amore di un padre, verso la figlia… ‘speciale’.

La vera storia di Chiara
La vera storia di Chiara

Il libro racconta la storia vera di Chiara, della sua disabilità e del suo convivere con una malattia rara e difficile da gestire. Chiara non parla, si muove a spasmi e non riesce a comunicare come vorrebbe. Ma piange e urla, a volte anche per notti intere. Chiara è la seconda figlia di Michele e Monica, ed è in una delle lunghe notti insonni che il papà, in un legittimo ed autobiografico sfogo, interroga il Signore: “perché proprio a noi un regalo rotto”?

«Premetto di non essere né cattolico praticante né credente, non nel senso comunemente inteso, per lo meno. Piuttosto, mi sento come un severo e critico agnostico, e certamente ottimista. Ebbene, detto ciò, ritengo che vi siano circostanze, fatti ed eventi in cui, il ‘dolore’, sia l’unica strada per ottenere uno status evolutivo più elevato.
In questo caso, l’evento inatteso, ha indotto Michele e Monica a scatenare un autentico ‘miracolo’ comunicativo:
la scoperta del ‪‘disabilese‬’. A mio avviso, una storia da leggere » (‪‎Piemmerre‬)

 

«Le stelle come non ve le potreste mai immaginare» Affascinante rivelazione su una diffusa credenza

Stelle a 5 punte già presso gli antichi Egizi.
Stelle a 5 punte già presso gli antichi Egizi.

Per tutti noi, l’idea della stella, è quella a cinque punte. Così ce la figuriamo ed è così che la vediamo, spesso, anche nei disegni che rappresentano il cielo di notte. Andando indietro nel tempo, scopriamo che anche gli antichi egizi rappresentavano la stella allo stesso modo. Eppure, se osserviamo le stelle a occhio nudo, appaiono più semplicemente come punti luminosi. Allora viene da chiedersi: perché le stelle vengono continuamente rappresentate proprio con cinque punte?
Ebbene, la risposta esatta potrebbe giungere proprio da una lettura simbolica, ossia: la stella è in realtà il simbolo esoterico dell’Uomo. Le cinque estremità indicano: le gambe, le braccia e il capo.
Questa credenza viene mantenuta viva anche dalla letteratura ‘simbolica’, che fra l’altro, su questo punto, scrive: “La stella che ci appare è la stella del Genio Umano; la Stella del Microcosmo che, in magia, impersonifica il segno della Volontà Sovrana. Per raggiungere una tale valenza, essa deve essere tracciata in guisa da potervisi inscrivere una figura umana. Deve, cioè avere la punta rivolta verso l’alto!”
Il pentacolo è quindi simbolo dell’Uomo. Come detto poc’anzi, l’idea della stella a cinque punte viene spesso accostata al cielo notturno. La ragione di questo abbinamento va cercata nella tradizione ermetica, un elaborato e profondo pensiero che, sconosciuto ai più, tra le altre cose, recita così: “Tutto ciò che è in alto è come ciò che è in basso; tutto ciò che è in basso è come ciò che è in alto. E questo per realizzare il miracolo di una cosa sola, da cui derivano tutte le cose, grazie ad un’operazione sempre uguale a se stessa!”  Spieghiamone bene il senso, utilizzando un linguaggio più accessibile: l’Uomo (il microcosmo, ciò che è in basso) e l’Universo (il macrocosmo, ciò che è in alto) si riflettono a vicenda, essendo l’uomo parte del Creato, e sua più alta espressione. Sicché non potrebbe essere altrimenti.
In conclusione, l’uomo nasce dall’universo e così, il pentacolo (microcosmo) viene collocato nel Cielo (macrocosmo), in quanto da esso è stato generato. In tal modo un cerchio si chiude: ciò che per molti è una credenza scontata, ovvia e se volete pure banale… per pochi altri rappresenta un’affascinante rivelazione cosmica. Siamo tutti parte di tutto!

«Quando la statistica è… “lègge”!» Apriamo il sipario sulle vendite di libri

I lettori italiani regione per regione
I lettori italiani regione per regione

In Italia, notoriamente, si legge poco. E’ un dato di fatto di cui prima o poi ci si dovrà occupare a fondo.

Si, ma QUANTO poco si legge? Be’, se ti fermi a parlare con l’amico al bar o cerchi riscontri su internet, emergono numeri da brivido, scenari preoccupanti. Ma noi qui, ora, ci occupiamo di numeri certi.

A delegittimare ogni cupa leggenda metropolitana, per fortuna, c’è l’ISTAT che ha pensato a come fotografare l’Italia che legge, fornendo dati ben strutturati e idonei a fare ragionamenti non dettati dell’emotività.

I dati sul 2012 ci dicono che… sì, in Italia si legge poco. Ovvero: i “non lettori(quelli che in 12 mesi non hanno letto nemmeno un libro, tranne che per scuola o lavoro) sono il 54% della popolazione, a partire dai 6 anni di età. Tradotto in pratica significa che, se ti trovi nella carrozza di un treno con 10 persone, puoi essere ra­gionevolmente sicuro che, 6 di loro, non hanno mai toccato un libro in un anno.

Volendo considerare il bicchiere mezzo pieno, la buona notizia (diciamo così) è che, la percentuale più alta di lettori, per età e genere, si concentra in quella femminile fra i 15 e i 17 anni. In pratica, in una classe di 20 studentesse, potete scommeterci che, ben 14 di loro (cioè il 71%), avranno letto almeno un libro nell’ultimo anno. A parità di età, i maschietti, rispondono con un misero 49%. Insomma, maschi Vs femmine: 49 a 71, una strage!

C’è anche un altro dato, che contribuisce a rendere meno fosche le tinte: lo spirito di emulazione. Ossia: nella fascia di età tra i 6-14 anni, i “lettori attivi”, con genitori che leggono, sono il 75%. Mentre, laddove mamma e papà sono re­frattari ai libri, la percentuale crolla al 35%. Il che, significa una sola cosa: niente stimola di più questa attività del contesto familiare di appartenenza. Ma vi è l’altra faccia della medaglia, ossia: il 10% delle case italiane è totalmente priva di libri, colpa anche della crisi, e il 15% ne possiede da 1 a 10. Però, questo triste dato, viene mitigato dai “lettori forti”: nel 25% delle abitazioni troviamo più di 100 volumi, con un picco del 7% che supera le 400 copie. Ma ci sono anche un bel po’ di case in cui à possibile trovare libri per oltre 150 volumi (tra cui i miei tanti scaffali disseminati un poco ovunque).

Ma veniamo più al dunque, vi chiederete: sì ma, alla fine, quanti libri sono stati letti e pubblicati? Ebbene, i numeri del 2012 sono questi: oltre 59.200 opere pub­blicate (il 10% in meno dell’anno precedente); 3.760 la tiratura media di un libro (il 6% in meno rispatto al periodo precedente). Con 5.000 venduti, sei già “best seller”.

Riguardo agli autori, il 2013 – sino ad ora – ce ne ha consegnato 35 di nuovi: tre in meno allo scorso anno, addirittura nove in meno dal 2010. Ma non è tutto…

In base al numero dei cosiddetti “lettori attivi”, emerge che: il 46% si ferma ad un massimo di 3 libri. Da 4 a 11 volumi si concentra il 39% di essi, ed il restante 15% supera i 12 acquisti dell’anno. Da qui, però, scatta “l’altra” domanda. Quella vera che tutti ci dovremmo sempre porre, istigando e leggendo l’imbarazzo sui volti di chi ci dovrebbe fornire risposte: non è che i nostri libri sono un po’ cari?

Dal punto di vista degli editori, il peso specifico del prezzo, è nell’ordine del 25%; tutte la case di produzione – indipendentemente dalle dimensioni – si giusti­ficano scaricando la responsabilità sulla «mancanza di efficaci politiche di educazione alla lettura». Bella idiozia: ma che cacchio vorrà significare? Mah, a me puzza tanto di politichese!..

C’è però un dato incontrovertibile su cui ragionare: la maggior parte dei libri venduti ha un prezzo inferiore alla doppia cifra. Le classifiche di vendita settima­nali, hanno dovuto adeguare le loro graduatorie. Inoltre, per consentire visibilità ai romanzi di nuova uscita – tanto per fare un esempio concreto – si è utilizzato il trucco di “destinare” le riedizioni dei classici, proposti da Newton a 0,99 centesimi, nella classifica riservata ai “tascabili”.
Un’altra indagine demoscopica, ci dà la misura di quanto la lettura sia legata all’intero “apparato culturale” nel nostro paese: 

Correlazione fra lettura e universo multimediale
Correlazione fra lettura e universo multimediale

Ciò che emerge, rasenta l’ovvietà: puntare con coraggio su un settore strategico, come potrebbe essere la cultura, comporta l’inevitabile avvicinamento alla lettura. E questa ci pare sia una “conditio sine qua non”. Come “spingere” o come sviluppare questo segmanto?
Non credo spetti a me ricavare l’incognita da questa equazione, e poi non sono un editore!

Ma le aziende editoriali nazionali, oggi, temo ragionino ancora come si faceva 15/20 anni fa, negli anni in cui internet e la comunicazione globale nemmeno esi­stevano. Insomma, troppo ferme su “relazionaliposizioni di rendita. E tuttavia, abbiamo diversi spunti da cui partire per delle azioni mirate. Un esempio?

Che ne dite di trovare un ragionevole “equilibrio armonico” fra numero di pagine e prezzo? Che ne dite di allineare i prezzi, tenendo conto del momento contingente? Cosa ne pensate di sostituire i pesanti e costosi testi scola­sitci, coi i più moderni supporti elettronici-digitali-multimediali? In tal modo si centrano più obiettivi: modernizzazione dell’apprendimento, alleggerimento di quegli zaini vergognosamente pesanti, sensibilizzazione sull’uso della tecnologia e – ultimo ma non ultimo – più soldi nelle tasche dei genitori/consumatori, che così, possono liberare risorse da destinarsi anche all’acquisto di qualche libro in più. Non male come idee, se si considera che non sono un editore, vi pare?

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«Gli spettri del tempo» Un piccolo assaggio, Aspettando che il libro esca

C’è sempre qualcuno che, dietro le quinte, muove i fili di tutto!

Da un’idea di: PMR
Work covered by Copyleft/ CC BY-ND 3.0

“C’è sempre un principio in tutte le cose e, talvolta, vi è anche una conclusione. Ma per quest’ultima, non sempre spetta a noi decidere. Sovente può dipendere dal fato, da elementi imprevedibili, da ‘forze superiori’. Tuttavia, può succedere che si giunga ad una fine, anche grazie all’inatteso intervento di innocue persone. Innocenti individui, a cui il destino ha segretamente riservato un inatteso compito…
Come nella storia che segue!

L’inizio di tutte le cose: Svizzera, Lago di Ginevra, 11 Settembre 1814. In un’illustre villa.

«[…] Finalmente, dopo una lunga attesa, il momento di incontrarci è giunto! Ditemi, mio buon amico, come è andato il viaggio sin qui? Trovate questo luogo di vostro gradimento?» domandò premuroso il Conte, all’elegante uomo inglese.
«Il viaggio, per quanto lungo, è stato abbastanza agevole. E sì, questo posto è davvero suggestivo. Sembrerebbe un luogo perfetto per un ritiro creativo. Signore, permettetemi di visitarne ogni anfratto. Magari, chissà: un giorno potrei tornarmene qui… ma per dedicarmi all’arte. Alla scrittura, e perché no: magari con un’allegra compagnia» rispose il gentiluomo, quasi in maniera profetica.
«Allora prego, seguitemi. Dentro ci aspettano impazienti, abbiamo parecchio da discorrere e deliberare. Ma certo non mancheranno le libagioni, che so, Voi, apprezzate molto» concluse il Conte, sottolineando il verbo ‘apprezzare’ con maliziosa ironia.

Austria, 3 Ottobre 1814:
«Stimato Principe, quest’Assise sarà un grande successo. Ne usciremo trionfanti e più forti. Tutto tornerà come prima, e forse anche di più» affermò il Conte di Lobo da Silveyra, autorevole diplomatico portoghese, anch’egli invitato a partecipare a quell’assemblea destinata a passare alla storia.
«Concordo con lei, caro Conte di Lobo. Che sia chiaro: io sostengo con vigore un rinnovato equilibrio dei nostri Stati. Sì allaRestaurazione” ma non intendo soffocare i perdenti. Autorevoli delegati, è notorio quanto il mio pensiero tragga ispirazione dalla filosofia del nostro grandeLudwig Von Rochau’, padre della “real-politik” ed alla quale io mi sono consegnato completamente. Ed è proprio in ragione di questo assioma che orienteremo il dibattito e le inevitabili delibere» rispose, appassionato, il Principe di Metternich